Una lunga lista di cose che non vuole più fare. Carlo Verdone vuota il sacco a Vanity Fair e realizza una classifica di momenti e attività sgradite.
“Dopo i sessantacinque anni (ma per alcuni anche prima) arrivano impietose le prime avvisaglie che il tuo fisico comincia a rifiutarsi di essere alleato dei tuoi desideri”, spiega l’attore. “Questa fase, che anticipa la vera vecchiaia, non ha però solo tristi limitazioni ma ha anche i suoi vantaggi, delle piccole gioie. Si entra come una barca in un approdo sicuro dove il mare è calmo senza sbattimenti da una parte all’altra. C’è finalmente la riappropriazione del tuo tempo, solo tuo. E cominci, se ne sarai capace, ad acquisire quella pacatezza e quella filosofica riflessione su cosa ti va di fare e cosa non vorresti più fare. La grande maturità porta a voler più bene a te stesso, al tuo tempo e finalmente a trovare il coraggio di dire quei no che per troppa disponibilità non sei stato capace mai di dire. Per generosità, per rispetto, per non offendere un amico. Ma come ho detto prima c’è un tempo per tutto. E ora vorrei averne più per me. Ne ho diritto e sinceramente penso di meritarmelo”.
Ecco allora il decalogo, tra insofferenze note e qualche sorpresa.
“Non vorrei più fare interviste dove il giornalista esordisce puntualmente con: «Verdone, lei che è un noto ipocondriaco, come affronta…». Alla parola «ipocondriaco» avrei voglia di spaccargli il telefono in testa. Non vorrei più andare ai vernissage dove non riesco a vedere una sola opera esposta ma solo una folla ammassata di amici, conoscenti, gente sconosciuta che si presenta e non capisco chi è per l’assordante chiacchiericcio. Serate inutili e faticose dove mi ritrovo non meno di dieci biglietti da visita in mano. E non ho visto nemmeno un quadro. Non vorrei più andare alle tavolate di una certa eleganza dove non si riesce a cenare all’ora prevista perché, come al solito, la coppia più importante arriva con un’ora di ritardo. Non vorrei più andare a premiazioni che dovrebbero essere importanti, dove i vincitori sono in pantaloni sgualciti, scarpe sfondate, maglietta e giacca trasandata. E io sono l’unico col vestito scuro e la cravatta. E magari non ho vinto niente. Non vorrei andare alle anteprime dei film dove la proiezione inizia regolarmente con un’ora e mezzo di ritardo. E nonostante questo c’è ancora qualcuno che deve prendere posto in sala a inizio film”.
Verdone affronta anche il rapporto con gli amici: “Non vorrei più rispondere al telefono a chi mi chiede il nome di un luminare per una visita urgente, sapendo che li conosco tutti. Premuroso come sono, chiamo il medico o chirurgo e fisso a tempo di record l’appuntamento. Il risultato è sempre lo stesso: non si presentano. E colleziono figuracce su figuracce. Sono stanco di non trovare il coraggio di dire la verità a un amico autore cinematografico o letterario se ha fatto, o scritto, una boiata. Gli va detta la verità. «No, non mi è piaciuto!». Non voglio più essere un ruffiano ma un amico”.
Ed ancora: “Se nella lettura di un libro o di un articolo leggo la frase «un silenzio assordante…» prendo il volume o il quotidiano e lo butto nel cestino al volo”. Infine, l’attore intende cancellare dalla rubrica “tutti quelli che mi chiedono favori su favori, senza nemmeno azzardare un «Come stai?». Non ho più voglia di frequentare persone ossessionate dal parlare di se stesse, di quello che stanno preparando, del premio che hanno ricevuto, dell’articolo che è uscito su di loro, di quello che si è dimenticato di citarli, di quello stronzo che ce l’ha con loro, dell’incasso che hanno fatto, del contratto che hanno firmato per cinque anni… monologhi stremanti dove trionfa un ego smisurato senza alcun contraddittorio”.
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