Achille Lauro: “Su di me troppe leggende nere. Sanremo frutto di quindici anni di sacrifici”

Senza ombra di dubbio una delle interviste più belle degli ultimi tempi quella rilasciata dal musicista e cantante Achille Lauro al Corriere della Sera, uscita proprio oggi sulle pagine web del giornale. Una lunga chiacchierata di cuore capace di toccare tanti temi riguardanti la vita privata di Lauro, vero nome del cantante all’anagrafe Lauro De Marinis, ma non solo – a partire dall’ambiente medio-borghese nel quale pare sia cresciuto:

“Non mi è mai mancato nulla. Mio padre si chiama Nicola De Marinis, è stato professore universitario e avvocato, ha scritto quattro libri, per meriti insigni è diventato consigliere della Corte di Cassazione. Nonno Federico era prefetto di Perugia, l’altro nonno ha combattuto nella seconda guerra mondiale: si chiamava Archimede Lauro Zambon. Sono nato a Verona perché lì abitava la famiglia di mia mamma, Cristina, originaria di Rovigo, ma sono cresciuto a Roma”.

La mamma di Achille Lauro, invece, ha sempre dedicato la vita agli altri:

“Casa nostra era sempre piena di ragazzi presi in affido. Sono sempre stato abituato a condividere”.

Non esattamente il ritratto del ragazzo di periferia che spaccia, gira per strada con le armi in tasca e ruba i motorini del quale si è sempre parlato, insomma. E a farglielo notare ci pensa anche il giornalista Aldo Cazzullo. Anche in questo caso, stupisce la replica del cantante, che semplicemente spiega – una volta per tutte:

“[Non sono mai stato in galera] Pure questa voce fa parte della leggenda. Ho avuto abbastanza amici incasinati da capire quello che non volevo diventare. Amici reduci da dipendenza o da sbagli adolescenziali, che entravano e uscivano per cose fatte da ragazzini. Il carcere non è il posto giusto per recuperare i ragazzi. Per loro facciamo molto di più io e quelli come me. […] La droga nelle periferie esiste. Far finta che non esista è più sbagliato che parlarne. È una piaga sociale che non va nascosta: ne va dato un giudizio negativo. Non posso dire che queste cose non le ho mai viste; al contrario, le conosco, e cerco di aiutare le persone a non distruggere la loro vita”.

In conclusione, un’ultima risposta che veramente meriterebbe un applauso – e che ci rivela molte cose su questo semplice, ma pur complesso, “ragazzo di periferia”:

“Vengono a intervistarmi e poi scrivono “Lauro spaccia”, al presente, “Lauro ruba”, al presente. Sono cresciuto in un ambiente difficile, in mezzo a persone problematiche. Ma Sanremo è il frutto di quindici anni di impegno. Se avessi buttato il tempo in queste sciocchezze non sarei qui. Canto per dire ai ragazzi di non sprecare il loro tempo: prima capisci quello che vuoi fare, prima arrivi al successo. E il successo non è la fama; è la riuscita del proprio percorso”.

Tra i suoi più grandi ispiratori sicuramente la sua mamma e il suo papà, che hanno faticato per anni senza mai ottenere ciò che si sarebbero meritati:

“Ho visto per tutta la vita i miei farsi il culo e non riuscire, mio padre spaccarsi la schiena senza avere quello che gli spettava, mia madre fare lavoretti saltuari umilianti. Da questo è nata la mia ambizione. Ho suonato davanti a tre persone. Ho pagato di tasca mia la sala del primo concerto, 300 euro per lo Zoobar di Roma. Per anni non ho dormito, per creare tutto questo. Proprio quando ero stanco, a un certo punto tutto si è messo a posto, sia la mia vita sia quella dei miei”.

Lauro avrebbe anche ricomprato i gioielli della nonna: “Sì, i gioielli di nonna Flavia. Li ho riscattati dal monte dei pegni”.

 

claudiacabrini

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